Diffidiamo delle imitazioni!
Nota di Fabio Valenzisi, Presidente KinesiA
Definire la Kinesiologia in modo univoco è certamente la sfida più importante sul piano del riconoscimento culturale, e non solo, della materia.
A nostro avviso, allo stato attuale delle cose la Kinesiologia non possiede sufficienti presupposti solidi per essere considerata Disciplina a tutto tondo; il motivo si può cogliere facilmente analizzando il panorama professionale e soprattutto formativo del settore: tante tecniche, tante Kinesiologie, purtroppo scollegate fra loro, dove ognuna assume la sua definizione in base alla radice specifica a cui si riferisce.
Molte di queste hanno legittimità storica, molte altre sono orientamenti originali sviluppati attraverso lo studio e l’impegno di intraprendenti kinesiologi ricercatori; altre ancora si rivelano contenitori privi di contenuto, “kinesiologie” mascherate di originalità ma che di fatto ripropongono con nomi diversi tecniche o metodi classici.
Gli attori di questo triste scenario in molti casi basano tutto il proprio lavoro sulla registrazione commerciale di un marchio privo di legittimità storica o nel peggiore dei casi sul valore autoreferenziale di un titolo, diploma o laurea comprati all’estero. Atteggiamento spiacevole, per usare un eufemismo, che mette in risalto la povertà intellettuale di questi soggetti tossici per lo sviluppo armonico della nostra meravigliosa Kinesiologia.
Solo quando alla base ci sono argomentazioni sostanziali, pubblicazioni e/o ricerche atte a legittimare un nome diverso e/o la reinterpretazione di una metodologia kinesiologica specifica, possiamo dire di trovarci di fronte a ricercatori intellettualmente onesti.
Purtroppo questo lavoro onesto, di valore epistemologico, viene fatto raramente e in quei pochi casi in cui viene svolto resta sovente barricato nell’orticello angusto di chi lo ha sviluppato: forse per il timore di vedersi plagiato il proprio lavoro? Oppure, a causa dell’inconsistenza interdisciplinare, scientifica e culturale del settore kinesiologico?
A nostro parere la risposta si colloca precisamente a metà: la povertà culturale, l’ignoranza scientifica (nel senso proprio di “ignorare”) e le barriere interdisciplinari del settore legittimano, ma non giustificano, azioni di tutela che sfociano nella creazione e deposito di marchi registrati e/o nella chiusura esclusiva in strutture formative blindate nei loro confini didattici.
Considerando questo scenario disorganizzato, tali azioni sono comprensibili quando vengono attuate in buona fede e sulla base di contenuti sostanziali, perché in questo caso la buona fede porta naturalmente con sé l’apertura a dialogare, integrare le forze e fare fronte comune; ma purtroppo diventano tossiche per il settore quando si riducono a mere strategie imprenditoriali di mercato, che escludono dal dialogo interdisciplinare ostacolando lo sviluppo culturale e scientifico della Kinesiologia come Disciplina.